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Utatoki - Poesia e immersione nel bosco

UTATOKI

POESIA E IMMERSIONE NEL BOSCO

 

Trascrivo il briefing di apertura del nostro corso, iniziato ieri.

 

Ci apprestiamo a fare l’esperienza dello Shinrin Yoku, l’immersione nei boschi, un’esperienza che voi non avete ancora mai fatto.  Vi darò, quindi, alcune informazioni utili per vivere al meglio quest’esperienza.

 

Vi ho parlato a lungo dello Shinrin Yoku quando vi ho presentato questo breve corso di tre incontri che comincia oggi.  Vi ho raccontato la storia di questa pratica giapponese, e vi ho illustrato la bibliografia, in parte giapponese e in parte anglofona, che offre un vasto panorama di tecniche e metodi utili per fare esperienza dello Shinrin Yoku.

 

Sapete anche che - a parte l’interesse contemporaneo per questa pratica che sta crescendo in molti paesi europei, ma anche in Oriente e anche negli Usa e in Canada – il rapporto dell’uomo con la foresta e con gli alberi è sempre stato molto profondo.  Per noi, che siamo di cultura mediterranea, basta citare i classici – greci e romani – per trovare nelle antiche religioni e nel mito una grande quantità di riferimenti al bosco e agli alberi.

 

Oggi aggiungerò un piccolo tassello a quanto già detto, e vi illustrerò la pratica che andremo a svolgere, fra qualche minuto, in questo bosco della Valle del Tevere, che si chiama, oggi, Colleromano ma che, era abitato dagli Etruschi già nel VII secolo a.C.

Come gli antichi Greci e i Romani, anche i Giapponesi (di oggi) hanno un innato rispetto della foresta.  Questo deriva dal loro sistema di credenze, secondo cui nel bosco abitano gli spiriti della natura.  Anche per Greci e Romani era così.

 

Se vogliamo tradurre questa immagine nella nostra odierna cultura – tipica di una società complessa e globalizzata – possiamo dire che gli elementi della natura – piante e animali – sono tutti esseri senzienti e dotati di intelligenza e di capacità di comunicazione.  Possiamo aggiungere anche qualcosa in più, che ci avvicina alla visione degli antichi (o degli sciamani) che nei boschi dialogavano con gli spiriti.  Possiamo adottare il punto di vista di James Hillman e guardare al bosco come a un’immagine della nostra interiorità, del nostro subconscio e del nostro inconscio.  Entrare ritualmente nel bosco, con un atteggiamento di reverenza e di rispetto, ci consentirà di dialogare anche con i nostri “spiriti” interni, con le immagini che si sviuluppano nella nostra interiorità e che noi spesso non conosciamo affatto.

 

Oggi vi propongo di contattare il bosco come una zona non ancora esplorata della nostra psiche.  E dico psiche nel senso di psiche, per gli atei e i laici, ma anche nel senso di anima, per chi coltiva in sé una parte spirituale.

Per entrare nel bosco è necessario un rituale.  Il rituale non è una performance estetica, ma un mezzo con cui l’Ego accetta di occuparsi della propria interiorità, apre una porta dell’inconscio.  Il rituale è anche un modo per tenere separati i due mondi, quello della realtà ordinaria e quello della realtà non ordinaria che si apre nel bosco.  Tramite il rituale noi sappiamo che apriamo una porta sul non ordinario ma sappiamo anche che possiamo richiuderla, entrare e uscire dai mondi.  Anche nella psicoterapia sono necessari rituali di apertura e chiusura della seduta, metodi che mirano a tenere separate le due realtà:  la vita quotidiana e il lavoro analitico che il paziente fa dallo psicoterapeuta.  Se noi prendiamo come psicoterapeuta il bosco, abbiamo anche qui bisogno di separare l’ordinario dall’extra-ordinario.

 

Anche nelle religioni e nello sciamanismo ci sono rituali che aprono e chiudono le esperienze.  Quando apri una certa porta sai anche che la puoi richiudere. E questo garantisce salute e sicurezza. Apri quella porta e sai che possono arrivare anche emozioni forti ma, poiché la sai richiudere, ne fai esperienza e poi lasci andare.  Puoi riportare nella vita ordinaria quanto hai compreso.

Ognuno di voi sarà purificato da una leggera fumigazione con lo smudge (che è una composizione di erbe considerate sacre, che richiamano forze benevolenti e di buon auspicio per il nostro lavoro).  Poi entrerete nel bosco con un gesto di saluto, reverenza, amicizia.  I giapponesi lo chiamano gasho, ma è un gesto antichissimo che tutti conosciamo.

 

Una volta entrati nel bosco, la regola sarà il silenzio (salvo emergenze), quindi dovete sapere bene quali azioni andrete a compiere.  Io vi accompagnerò, per tutta l’esperienza, con un leggero tambureggiamento, perché il tamburo (anch’esso un prodotto del bosco, costruito con legno e pelle di capra) è un buon amico dello Shinrin Yoku:  ci mantiene in uno stato di leggerissima trance, concentrati sul compito che abbiamo, favorisce la meditazione, e crea uno spazio sonoro entro cui compiere il rito.  Apre e chiude il cerchio. Ma soprattutto è in grado di stabilire una comunicazione sonora con la foresta.  Non a caso gli sciamani di tutto il mondo usano il tamburo come mezzo di connessione con la natura.

 

Ci disporremo in cerchio, tenendoci per mano, e io reciterò un breve canto Navajo.  Poi Monica Maggi leggerà una o più poesie che hanno per argomento gli alberi, la vegetazione, la foresta.  In queste poesie ci sarà un seme (un simbolo, un significato) che farete vostro e che porterete nel bosco chiedendo al bosco di aiutarvi a comprendere e sviluppare questo seme nella vostra vita.

Vorrei ora spiegare perché abbiamo introdotto la poesia in questo rituale del bosco.

E’ stato scientificamente provato che il bosco ha una volontà, una intelligenza, una missione. Inoltre, dialoga al suo interno, gli alberi dialogano fra loro e concertano assieme azioni utili per la collettività.  Per esempio, se scoppia un incendio nella zona, anche in un luogo lontano, gli alberi cominciano a secernere acqua verso il terreno, verso il basso (e non più verso l’alto) per rendere il tappeto del terreno resistente al fuoco.

 

Gli alberi dialogano fra loro.  Ma come? Hanno una voce, hanno un codice, hanno un alfabeto?

Noi crediamo che comunichino per immagini, con le  metafore, con i sogni, con l’anima.  Crediamo che la comunicazione all’interno di un bosco sia di tipo onirico, animico.

Se questo è vero, l’uomo ha una sola possibilità di linguaggio e comunicazione con il bosco:  il sogno, la metafora… quindi LA POESIA è lo strumento più adatto per entrare in relazione con gli alberi, per parlare di e con gli alberi.  Questo approccio si fonda sull’idea che il bosco sia anima e che la sua missione sia LA BELLEZZA.  In questo, ci appoggiamo alla nota idea della cultura Maya, che il tempo non è denaro, il tempo E’ ARTE!

 

Inoltre, vorrei attirare la vostra attenzione sul fatto che, in realtà, la regola dell’arte e della bellezza che sostanzia la vita della foresta è fondamentalmente AMORE.  L’immersione nel bosco è un’immersione nell’amore che il bosco ci può offrire.  L’uomo ha spesso un atteggiamento predatorio nei confronti di Madre Natura.  Il bosco ci insegna l’amore, perché è in grado di penetrare nella nostra coscienza e soffiarci dentro energie d’amore, in uno scambio energetico circolare che vitalizza entrambi, noi e il bosco.

Perché questo scambio energetico si realizzi, l’essere umano deve essere rilassato, raggiungere una certa calma mentale, quella della meditazione (onde alfa e/o theta).  Madre Terra vibra a circa 8 Hertz che, per l’uomo, corrisponde appunto a uno stato mentale meditativo o di leggera trance.  Il tamburo vibra in consonanza con l’8 e con i multipli di 8. E così certi flauti, che potremo usare in seguito durante la camminata nel bosco. 

 

Questo è lo stato di coscienza perfetto per comunicare con la foresta[1].  La foresta esercita una forte azione sulla nostra coscienza perché è in grado di ripristinare la nostra ATTENZIONE COSCIENTE. Cosa dobbiamo osservare con attenzione cosciente (o coscienza osservante)? La foresta comunica con noi in modi diversi: visuale, sonoro, emotivo, fisico

Quando si entra nel bosco in questo modo ritualizzato, si entra con un INTENTO.  Non si tratta di fare una passeggiata, ma di fare un lavoro psichico.  La poesia di Monica Maggi ci offre un frame, una cornice di significato, in cui collocare o elaborare il nostro intento.  La poesia apre e chiude il percorso nel bosco, fatto di camminate lente, osservazione nel qui e ora, percezione sensoriale resa più acuta dallo stato di coscienza non ordinario.

 

La poesia apre il percorso, instillandoci il turbamento, gli interrogativi, che chiederemo al bosco di illuminare.  La poesia chiude il percorso, sintetizzando l'esperienza, il vissuto, il sentire che si è attivato nella comunione col bosco.  Nella fusione con gli alberi, sinceri amici, compagni di viaggio, maestri spirituali, anziani sapienti.

Poesia e bosco, uniti nell'interiorità:  UTATOKI.

 

PROSSIMO APPUNTAMENTO 7 APRILE

 



[1] A seconda della frequenza, si dividono in:

·       onde Delta: sono caratterizzate da una frequenza che va da 0,1 a 3,9 hertz. Sono le onde che caratterizzano gli stadi di sonno profondo.

·       onde Theta: vanno dai 4 ai 7,9 hertz, caratterizzano gli stadi 1 e 2 del sonno REM.

·       onde Alfa: sono caratterizzate da una frequenza che va dagli 8 ai 13,9 hertz, sono tipiche della veglia ad occhi chiusi e degli istanti precedenti l'addormentamento.

·       attività Beta: vanno dai 14 ai 30 hertz, si registrano in un soggetto in stato di veglia, nel corso di una intensa attività mentale (ad es. durante calcoli matematici) e soprattutto da aree cerebrali frontali. [nota bene: per quanto riguarda questo tipo di oscillazione manca il requisito della periodicità. Si riscontra, invece, nella rappresentazione encefalografica, una desincronizzazione; per cui non si parla di "onde" ma di "attività"]

·       onde Gamma: vanno dai 30 ai 42 hertz, caratterizzano gli stati di particolare tensione.